martedì 27 aprile 2010

Le parole non le portano le cicogne.


Rubo questo titolo al bel libro di Vecchioni (non un capolavoro, sia chiaro; ma un bel libro si) per parlare di qualcosa che mi frulla per la testa da qualche giorno. Tre o quattro credo, non ricordo bene se non che la molla è scattata un mattino di quelli in cui separarmi da una parte di me sembrava molto impegnativo; ero in bagno e come sempre accade quando sono in bagno, oltre a quello di cui parlavo prima, ascolto la radio e leggo il giornale. D'un tratto, mentre Presta e Dose scemeggiano adorabilmente come ogni mattino da un numero indefinito di anni , parte un bellissimo pezzo di  Anika e dopo pochissime note e parole ecco che si muove un'onda bellissima, dolce e dolorosa al tempo stesso che mi esplode dentro e mi scuote ancora più in là del cuore, ancora più a fondo in un luogo nascosto che io stesso non conosco completamente. Quattro piccole parole …..sorriderò prima di andare......pronunciate con la voce profonda, calda ed emozionante di questa ragazza e le note messe una dietro l'altra chissà per quale magia ed ecco che tutto si stravolge per una ragione che non so e resto lì ad ascoltare e farmi scuotere come una fogliolina al vento cui non può opporsi.
Ora la domanda è questa : perché alcune parole o delle note, o le une e le altre, hanno un potere così grande sull'emozione? Perché quelle e non altre? Cosa si muove dentro? Cosa pescano dalle profondità del nostro animo, quali contatti apparentemente recisi possono ricollegare attivando una serie di reazioni che portano emozione, piacere, malinconia....?
Me ne sono rimasto lì ad ascoltare fino alla fine mentre l'onda lunga dell'emozione arrivava e si ritraeva, lasciandomi senza parole, quasi stordito ma con una scintilla di felicità dentro.
Chi mi sa dire perché ?

giovedì 22 aprile 2010

Nigella.


Cucina,mangia e si gode il cibo in modo sfrontato. Ma vi sentireste di fargliene una colpa?!?!?

Di cosa si lamenta?


.....è nata il 22 aprile mentre io sono nato il 21 !!!!!

Perché continuare a scrivere?


A volte me lo chiedo davvero.
A volte mi sembra di riuscire a comunicare quello che sento, al di là delle parole analizzate una per una.
Invece capisco che i post, come un racconto o un romanzo, non sono di chi scrive ma di chi legge; perché è chi legge che filtra le parole in una specie di colino fatto con le maglie del suo momento particolare, del suo umore, della sua esperienza. O, alla fine, attraverso la lente di quel che vuole leggere.
Allora scrivere è come giocare alla roulette, punti un numero ma chi decide è la pallina.
Certe volte non mi va e certe volte dico “chi se ne frega, scrivo quel che voglio e ognuno prenda ciò che può o sa”.

mercoledì 21 aprile 2010

Considerazioni in un giorno normale apparentemente diverso e diverso ma apparentemente normale.


Ci sono giorni di bilanci. Io che mi occupo di finanza so che si fanno alla fine dell'esercizio; ma il buon amministratore ha sempre sott'occhio la situazione, può dire in ogni momento se sta andando nella direzione programmata o meno.
Ma programmare se da un lato significa poter mettere in campo le forze necessarie a raggiungere l'obiettivo, dall'altra vuol dire rinunciare all'improvvisazione, al guizzo, al colpo di genio, al gesto impulsivo.
Nella vita ho cambiato molte volte, l'ho detto poco tempo fa e non lo rinnego; ad un tratto, per un motivo o per l'altro, ho sentito l'esigenza di cambiare orizzonte, di scompigliare le carte, stravolgere regole. Città, amicizie, lavoro tutte le cose che nella vita danno punti di riferimento, senza rimpianti, senza ripensamenti, con la carica che sa darmi una nuova sfida.
Mi sono chiesto in questi giorni se potessi vantarmi delle scelte fatte, se cambiare significa davvero buttarsi alle spalle tutto quello che ci circonda e ricominciare da un'altra parte; mi sono chiesto se non sia un po' gattopardesco lasciare che cambi ciò che sta attorno pensando che automaticamente cambi anche ciò che sta dentro. Anzi, dirò di più, se cambiare tutto fuori non sia, in fondo, un modo per non cambiare nulla dentro.
Conosco persone che in tanti anni non hanno mai spostato una virgola della casa , del lavoro e di tutto ciò che pensiamo sia determinante nella vita e nello stesso tempo sono state capaci di diventare “altro” dentro. Cambiare abitudini, modi di vedere, interessi e, soprattutto, la rappresentazione di se stessi.
Ci vuole più forza nel rivoluzionare il mondo dentro di noi che quello fuori di noi.

domenica 18 aprile 2010

Grazie MAGGICA!!!!!!!

Una volta avevo scritto una storia.


Si intitolava “Diario”; l'avevo iniziata in un periodo nel quale avevo voglia di scrivere, un momento fertile nel quale la mia vena letteraria, supposto che io abbia una vena di tal genere (ne ho una in mezzo alla fronte che si vede quando sono emozionato), era particolarmente fertile.
Avevo scritto anche dei racconti, in poco tempo tutto sommato, ma avevo voglia di scrivere qualcosa di più articolato, con più personaggi, nel quale poter infilare cose successe tanto tempo fa, persone conosciute negli anni della giovinezza.
Ma un conto è cimentarsi con un racconto breve, altro è cercare di scrivere una storia più complessa, che si sviluppi in un tempo più lungo, che coinvolga caratteri diversi che debbono interagire tra di loro. E poi, penso, quando si scrive qualcosa bisogna aver chiaro dove si vuole arrivare, altrimenti......Ecco, altrimenti si fa quello che è accaduto a me, ad un tratto ho smarrito la via, non ho saputo portare i miei personaggi alla loro destinazione.
Ora, rileggendolo, non mi è sembrato così male; certo non è un capolavoro e non ne ha nemmeno i presupposti, ma mi sembra gradevole, a tratti divertente, sembra promettere emozioni che non ha poi saputo suscitare.
Avevo ricevuto anche commenti lusinghieri ed avevo trovato alcuni benevoli lettori che mi seguivano e , in fondo, quello che più mi dispiace è aver deluso le loro aspettative.

mercoledì 14 aprile 2010

'e figlie so' piezze 'e core....

…..ma a volte dovrebbero essere anche “piezze 'e ricambie”.
Perché, devo dire, se non fosse per i danni materiali ,ogni tanto qualche accadimento che ti riporti al tuo stato di giovane alle prime esperienze automobilistiche e non esperto pilota rotto ad ogni situazione, non farebbe male.
Sinceramente, una volta appurato che nessuno si era fatto male, tranne il suddetto pilota e, fortunatamente, in modo lieve, non mi sono neanche incazzato. Strano per me, sinceramente, ma credo di non aver mai visto “belli capelli” così disperato, così umiliato, così sinceramente e profondamente dispiaciuto.
D'altra parte, nell'ordine, c'è stata la paura, la constatazione dei danni rilevanti, l'umiliazione di aver fatto la classica figura di merda di fronte alla ragazza ed alle sue amiche e , last but not least, l'improvvisa constatazione che la supposta ed incrollabile certezza di essere il miglior guidatore del mondo, ben superiore al fratello maggiore, alla mamma e, udite udite, al vecchio padre era improvvisamente ed irrimediabilmente crollata. Non ha nemmeno tentato una delle sue proverbiali evoluzione lessicali e logiche, ma tra lacrime che non avevo mai visto scorrere così copiose ed irrefrenabili dai suoi occhi, ha ammesso di aver sbagliato. E cosa avrebbe potuto fare cuore di padre? L'ho consolato ed abbracciato e nemmeno una , e dico una, volta rimproverato.
Certe lezioni, secondo me, bastano da sole e forse, sempre nella fortunata situazione di una complessiva incolumità, sono anche salutari.

lunedì 12 aprile 2010

Le vite lontane.


Non mi piacciono le riunioni di vecchi amici, o compagni di classe, o commilitoni insomma di quelle persone che non si vedono magari da trent'anni e che, grazie al solito organizzatore ossessivo-compulsivo decidono di sottostare al penoso rito della cosiddetta “rimpatriata”.
Negli ultimi anni mi è capitato un paio di volte di essere contattato da un ex compagno del liceo o da un amico conosciuto in parrocchia (prima del ravvedimento anche io come molti miei coetanei frequentavo quei luoghi di perdizione) e di essere invitato ad un incontro di “vecchi amici”, “vecchi compagni di classe” , vecchi insomma.
Mi sono sempre elegantemente smarcato; come dicevo non amo questi incontri, li trovo tristi, si finisce per raccontarsi con difficoltà la vita trascorsa, con lo stesso interesse che potremmo avere per le notizie della cronaca locale di un'altra città. Non c'è calore, non c'è empatia, non c'è un reale interesse ma solo, semmai, una curiosità forse un po' morbosa di sapere se gli altri hanno avuto le nostre stesse vicissitudini.
Ma l'aspetto più drammatico è quello di guardarsi in qualche modo allo specchio senza quell'abitudine quotidiana che non ci fa vedere i nostri cambiamenti; è un po' come rivedere noi stessi con trent'anni di più, i capelli bianchi, quando ci sono, le rughe, la pancetta e tutti quei maledetti difetti che in noi cerchiamo di non osservare.
E' già abbastanza triste il passare degli anni senza che qualcuno ci sbatta in faccia questa ineludibile realtà.
Solo al funerale di mia madre non ho potuto esimermi dal rivedere persone scomparse da una vita ed è stato penoso; c'era un uomo, che per convenzione chiamerò Ugo, che avevo lasciato a ventidue anni, alto, prestante, con una invidiabile chioma bionda ed una bella voce con cui cantava le canzoni della nostra gioventù. E' stato davvero imbarazzante, ma l'aspetto più terribile è stato pensare che forse anche lui ha avuto il medesimo pensiero.
Lasciamo stare le riunioni, ricordiamoli così vorrei dire; per quel che riguarda noi , la quotidiana frequentazione della nostra faccia rende meno avvilente il trascorrere degli anni.

sabato 10 aprile 2010

Cuore e cervello.


Non vi aspettate una ricetta per cucinare il famoso “quinto quarto”.
Si tratta, semmai, di coincidenze.
Come avranno notato i miei lettori più affezionati (a patto che ce ne siano) ultimamente scrivo poco; i motivi sono tanti e magari su questi farò un post a parte.
Però non è che non penso (evitate facili battute), il fatto è che non tutto ciò che penso riesco a scriverlo, un po' perché non sempre i pensieri si trasformano in parole, un po' perché, diciamolo, ultimamente mi sono impigrito.
Ma la coincidenza è questa: da alcuni giorni stavo pensando di trattare un certo argomento quando, giovedì mattina di ritorno da Perugia, ho ascoltato alla radio una trasmissione nella quale si parlava proprio di questo : nella vita bisogna ascoltare il cuore o il cervello?
Io, e parlo di me perché sono una delle poche persone che posso dire di conoscere abbastanza bene, mi sono lasciato guidare quasi sempre dal cuore, dall'emozione, dalla pelle; solo dopo, e non sempre, il cervello ha seguito. Non so se sia giusto o meno, penso che ognuno debba seguire la propria inclinazione, però spesso il cervello è condizionato da mille cose, da timori, da pregiudizi, dall'educazione, dal senso del dovere e questo in qualche modo lo paralizza; l'esame di tutte le variabili che precedono una decisione importante potrebbe essere così complesso da provocare una sorta di immobilità. Il cuore no, il cuore segue l'impulso , sente ancor prima di ascoltare la ragionare semmai l'ascolta, si emoziona e persegue la felicità; il cuore batte forte e non sa nemmeno il perché, conosce solo quel tumulto che lo svuota e lo riempie come un'onda che si infrange sugli scogli.
Guardando indietro mi accorgo che seguire il cuore è sempre stato giusto.
Non ho mai pensato di aver sbagliato e se alcune cose mi sono sembrate degli errori è stato perché le emozioni che mi avevano guidano erano svanite.
Meglio così, meglio avere qualche rimorso che a volte seguire il cuore ci procura, che vivere i rimpianti della mente.
L'ideale sarebbe seguire le dosi di un buon cocktail : due terzi di cuore e un terzo di cervello.

giovedì 1 aprile 2010

Pensando al nostro povero paese.

Non ci posso credere...

...ma è vero!!

Devo decidere cosa fare da grande.


Si, devo proprio decidere. Perché in fondo in fondo ancora non ho deciso.
Il fatto è che, nonostante la mia venerabile età, credo nel cambiamento, sono convinto di non aver ancora trovato la mia definitiva collocazione e, a dirla tutta, credo che l'unica collocazione veramente definitiva sarà in un luogo tranquillo, pieno di cipressi, appena fuori città.
Nella mia vita, riguardandola adesso, ho rivoluzionato tutto almeno tre volte; per tre volte certamente ho rotto equilibri consolidati che sembravano immutabili, ho sfidato la fortuna, la ragionevolezza ed il buon senso. Ma quel pizzico di follia , o di incoscienza se volete, mi ha aiutato a fare scelte importanti che hanno mutato la qualità della mia vita. Certo c'è sempre il rovescio della medaglia, ma siccome i bilanci si fanno a fine esercizio, penso di non aver mai sbagliato o che, comunque, il dare fosse minore dell'avere.
Certo mi rendo conto di una cosa: non posso pensare nemmeno oggi che nulla cambierà mai più nella mia vita, mi sento un po' precario nel senso buona della parola, diciamo flessibile, alla ricerca di stimoli nuovi. Che a volte non portano a nulla , è vero, però mi servono per non pensare al futuro come una sequela monotona di giorni sempre uguali; non sono uno da copertina sulle gambe e televisione insomma, piuttosto un curioso, un po' sognatore, vabbè, diciamolo, magari un po' infantile.
Ma se togliamo i sogni, cosa resta?